venerdì 30 dicembre 2011

Conciliazione tempi famiglia lavoro

Le due grandi sfere che coinvolgono giornalmente la nostra vita sono il lavoro e la famiglia. Il mondo del lavoro oggi assorbe sempre  di più molte energie non solo come competenze, aggiornamenti, ma anche come competitività, causando stress e malessere.
Molti confondono le problematiche e le finalità della conciliazione famiglia - lavoro con qualunque programma che aiuti le donne ad inserirsi nel mercato del lavoro, gestendo tempi di lavoro e tempi di famiglia con maggiore facilità, agevolata anche da un maggiore coinvolgimento degli uomini nelle cure domestiche. Altri traducono i programmi di conciliazione in misure di piccolo cabotaggio che servono alle aziende per avere meno conflittualità sui posti di lavoro, meno assenteismo ed ottenere così più produttività e più efficienza.
Invece é  in gioco l'intera e complessa relazione dei due ambiti di vita, che necessita di essere inquadrata ed affrontata proprio in quanto relazione e non con occasionali tamponi come dimostrano le soluzioni intraprese finora che non hanno risolto granché.
Allora è importante chiedersi:  PERCHE' FARE CONCILIAZIONE ? CON QUALI CRITERI E LINEE GUIDA?
L'attuale crisi sta facendo emergere sempre più chiaramente che le teorie economiche non sono strumenti neutrali sul comportamento umano, in qualche modo inducono sempre dei comportamenti negli uomini  e sono strumenti di modificazione degli assetti esistenti.
Con l'avvento della rivoluzione industriale si sono sviluppati due fenomeni di grande portata storica: l'avvento dell'economia di mercato capitalistica e la predominanza nella   scienza sociale dell'etica utilitaristica di J. Bentham. Con l'etica utilitaristica viene accantonato il fondamento di verità dei giudizi di valore  che sarebbero piuttosto espressione di decisioni, di imperativi o di preferenze soggettive. Si sviluppa il modello "Stato - mercato" con un  mercato che si  appoggia solo sull'efficienza, si chiede all'impresa di massimizzare il profitto come fine e allo Stato il compito di ridistribuire la ricchezza con la leva fiscale ed il welfare.
Viene accantonato il principio di reciprocità che si fonda sulla fratellanza ed è un principio ternario: io do a te perchè tu dia ad un altro  o eventualmente a me.
Il lavoro connesso con la vita familiare come era normale prima del diffondersi dell'industrializzazione non è più possibile, ma lo stress, le tensioni, il calo di felicità personale e relazionale che la famiglia sta pagando in cambio del maggior benessere  ci chiede di comprendere perchè la vita delle persone non possa più essere divisa fra famiglia e lavoro come ai tempi della prima industrializzazione.
Difronte alle line guida dell'unione Europea che vede le pratiche di conciliazione come strumento funzionale alla competizione economica globale dove il fine è la  la produttività e competitività della nuova"economia della conoscenza", c'è il rischio che la famiglia venga ridotta ad un residuo, più di quanto non sia stata sfruttata ed indebolita fino ad oggi.
Se e come le funzioni sociali della famiglia possano essere svolte dipende essenzialmente dal rapporto tra il quotidiano familiare ed il quotidiano professionale. Questo tema ci accompagna lungo l'arco di tutta la nostra vita, dalle esperienze maturate da  bambini, nella scelta della professione,  nella progettualità familiare o della carriera, fino al pensionamento ed all'organizzazione della terza età.
Se il lavoro impedisce di vivere, verrà svolto in modo da produrre gravi problemi sociali, prima di tutto a carico della famiglia. Si potrà incrementare il profitto ed i vantaggi economici, ma si dovranno affrontare malesseri e patologie sociali e cui non c'è rimedio perchè il vero rimedio è un lavoro dal volto umano che è amico della famiglia. La direzione che bisognerebbe prendere è quella di porre al centro del problema la relazione familiare e quindi vedere come il mondo del lavoro impatta sulla famiglia affinchè essa possa  rispondere adeguatamente ai suoi doveri familiari e possa svolgere nella società quel ruolo fondativo che le è proprio. E' ancora possibile umanizzare l'economia e il lavoro? Certamente se l'economia viene riagganciata ai valori.
Una prima soluzione è passare a relazioni industriali  capaci di attivare la conciliazione secondo  i criteri della responsabilità sociale dell'impresa. La quale non è solo responsabilità verso l'ambiente, ma innanzi tutto verso l'ambiente umano cioè le famiglie dei dipendenti e di coloro che sono in relazione con la vita dell'impresa. Per questo le nuove forme di conciliazione dovrebbero seguire i criteri di sussidiarietà e l'organizzazione di reti sussidiarie  fra imprese e famiglia.
Un'altra soluzione è attivare la società civile che con la sua azione decentralizzata ( decisioni di consumo e di risparmio) e con quella organizzata (imprese sociali di mercato, terzo settore) si propone di dare impulso nella direzione di uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile.
Nascerebbe un'economia della responsabilità sociale che va oltre  l'homo oeconomicus ed è fondata su tre pilastri: imprese, istituzioni,società civile,dove oltre allo scambio di equivalenti ( io do a te perchè tu mi dia quanto contrattualmente pattuito) e al principio di redistribuzione ( tramite la leva fiscale) ci sia anche il principio di reciprocità che fa entrare la gratuità, il dono, nel discorso economico.

lunedì 12 dicembre 2011

Partiti e politica alla prova della responsabilità. Il decalogo di don Sturzo.

CONVEGNO DEL 12.12.11 - SALA PAOLINO DI AQUILEIA - UDINE
Partiti e politica alla prova della responsabilità.Il decalogo di don Luigi Sturzo.
Introduzione di Daniela Vidoni - responsabile regionale C.I.S.S.
 
Con questo seminario desideriamo proporre degli spazi pubblici per riattivare un dialogo costruttivo fra cittadini ed istituzioni.       
Un dialogo che avvii una democrazia partecipativa, dove insieme si arrivi ad un consenso su ciò che è bene e giusto per la vita dell'uomo in comunità.
La crisi generale  che stiamo vivendo ha portato in luce dei nodi critici del nostro modo di concepire e vivere la politica come arte per il potere.
Il tema di questa sera "Partiti e politica alla prova della responsabilità" ha come sfondo la testimonianza di don Luigi Sturzo che ha dedicato la sua vita per riportare la politica al servizio del bene comune.
La categoria di pensiero del bene comune  a partire dalla fine del 1700 scompare per la predominanza nelle scienze sociali dell'etica utilitaristica di Bentham (1789).
Con l'etica utilitaristica di Bentham si afferma e si diffonde l'idea che lo scopo della politica  è il bene totale del popolo, che l'economia e le istituzioni pubbliche non devono ostacolare un simile obiettivo.
Il bene totale è dato dalla sommatoria dei beni individuali o dei gruppi sociali, l'individuo è identificato solo in funzione della sua utilità e le utilità non hanno un volto, non hanno identità e storia.
Ne è derivata una concezione utlitaristica della  politica per cui è razionale ciò che è utile per conquistare  e mantenere il potere, ciò che è funzionale al conseguimento di patti, di contratti .
La razionalità politica così intesa è diventata  motivo di conflitto , quello che oggi viene chiamato dialogo è in realtà uno scontro. E' quello che assistiamo nei dibattiti fra politici e  anche fra cittadini che  votano per partiti diversi. E' sfociata  nella impossibilità di operare scelte condivise e di poter governare.
Questo problema è gravissimo perchè la politica è la maggiore fra le scienze e le arti in quanto ha come fine la giustizia che si risolve nel bene comune.
Le correnti principali di filosofia politica degli ultimi secoli si sono dimostrate non all'altezza delle sfide  in quanto  non tengono conto del fondamento antropologico dell'agire politico.
Quale contributo immediato  possiamo dare come laici nella polis  al fine di riportare la politica  ad operare secondo il principio del bene comune?
La dottrina sociale della Chiesa merita di essere presa in considerazione  perchè costituisce  una " grammatica  comune" essendo fondata su un punto di vista specifico: quello di prendersi cura del bene umano e di mirare  ad un ordine sociale non solo giusto, ma anche fraterno.
La DSC ci aiuta a rimettere  in discussione la concezione attuale della politica , a riflettere sul  suo senso e sul suo fine, ad avere  un bagaglio comune di riferimento per giudicare la realtà .
Il bene comune che ci propone è il bene di tutto l'uomo e bene di tutti gli uomini E' un bene che non  ammette sostituibilità per migliorare il bene di qualcun altro, e questo per la fondamentale ragione che quel qualcuno è sempre una persona umana.
La DSC ci indica , assieme al bene comune , una serie di principi che sono collegati fra loro e necessitano di essere apprezzati e concretizzati  nella loro unitarietà, connessione ed articolazione  per una vita degna dell'uomo:
  • Il valore assoluto della persona umana
  • La sua inviolabile dignità
  • La solidarietà
  • La sussidiarietà
  • La partecipazione
  • La destinazione universale dei beni
La sfida che ci attende è quella di studiarla e tradurla in norme, in comportamenti che vanno oltre l'equità, oltre una generica buona amministrazione, oltre l'onestà.
Nell'analisi del Magistero troviamo che dove c'è l'uomo c'è la famiglia, c'è la società civile, c'è la comunità politica.
Queste tre dimensioni di vita, nascono con l'essere umano,ma hanno tre fini diversi.
Ognuna ha la sua autonomia, ma in relazione fra loro, e tutte tre sono indispensabili  per la realizzaione e la perfezione della persona.
Ne deriva che la comunità politica è subordinata ad un ordine, a un criterio guida, che non è creato dalla comunità stessa, ma che essa deve riconoscere e servire.
La sfida che ci attende è proprio quella di concettualizzare un ordine sociale che tenga conto di questa realtà.
 
IL DECALOGO DEL BUON POLITICO
"Per un cattolico tutto è e deve essere cristiano: la vita individuale, la famiglia, l'attività economica, la concezione filosofica, la creazione artistica, l'attività politica, sì da non esservi alcun angolo del proprio essere che non sia impregnato di cristianesimo. Pertanto, la specifica denominazione di cristiano messa a democratico o afferma una concezione di vita del cristiano o non ha alcun significato. Peggio, quel democristiano può degenerare in ‘demicristiano', in quanto una politica sporca infetta la fede e la pratica cristiana del soggetto infedele al suo ideale di vita."
(Brano tratto da un articolo di Luigi Sturzo pubblicato sul quotidiano "Popolo e Libertà" il 4 novembre 1948).
È PRIMA REGOLA DELL'ATTIVITÀ POLITICA ESSERE SINCERO E ONESTO. PROMETTI POCO E REALIZZA QUEL CHE HAI PROMESSO.
SE AMI TROPPO IL DENARO, NON FARE ATTIVITÀ POLITICA.
RIFIUTA OGNI PROPOSTA CHE TENDA ALL'INOSSERVANZA DELLA LEGGE PER UN PRESUNTO VANTAGGIO POLITICO.
NON TI CIRCONDARE DI ADULATORI. L'ADULAZIONE FA MALE ALL'ANIMA, ECCITA LA VANITÀ E ALTERA LA VISIONE DELLA REALTÀ.
NON PENSARE DI ESSERE L'UOMO INDISPENSABILE, PERCHÉ DA QUEL MOMENTO FARAI MOLTI ERRORI.
È PIÙ FACILE DAL NO ARRIVARE AL SÌ CHE DAL SÌ RETROCEDERE AL NO. SPESSO IL NO È PIÙ UTILE DEL SÌ.
LA PAZIENZA DELL'UOMO POLITICO DEVE IMITARE LA PAZIENZA CHE DIO HA CON GLI UOMINI. NON DISPERARE MAI.
DEI TUOI COLLABORATORI AL GOVERNO FAI, SE POSSIBILE, DEGLI AMICI, MAI DEI FAVORITI.
NON DISDEGNARE IL PARERE DELLE DONNE CHE SI INTERESSANO ALLA POLITICA. ESSE VEDONO LE COSE DA PUNTI DI VISTA CONCRETI, CHE POSSONO SFUGGIRE AGLI UOMINI.

FARE OGNI SERA L'ESAME DI COSCIENZA È BUONA ABITUDINE
ANCHE PER L'UOMO POLITICO.
 
Le lungimiranti intuizioni sturziane negli anni cinquanta per la moralizzazione della vita pubblica e la soluzione della crisi politica e morale ci rivelano che Sturzo è stato la coscienza critica di un paese che stava imboccando la strada sbagliata.
Il suo rigore morale, la sua onestà intellettuale, le sue critiche coerenti e pungenti riguardano:
  • Lo statalismo
  • La partitocrazia
  • La sindacatocrazia
  • L'imprenditoria liberalstatalista
  • Il comunismo ed il fascismo
  • I difetti degli italiani
  • La burocratizzazione
  • L'"entite"
  • Il sistema bancario
  • I limiti della classe politica
  • Il centralismo monopolistico
  • La corruzione
Lo statalismo
è per Sturzo il cancro della vita politica ed aconomica italiana. Il virus è un lascito del fascismo e consiste nell'intervento abusivo e sistematico dello Stato nell'attività privata di qualsiasi specie, religiosa, culturale, artistica, educativa, economica, sindacale e così via.
La partitocrazia
è la negazione subdola della vera democrazia perchè i partiti non conoscono i propri limiti. In campo nazionale invadono i poteri del parlamento e tentano di partecipare ai poteri e alle direttive del governo, nel campo locale annullano la responsabilità delle loro stesse sezioni, s'ingeriscono attraverso le sezioni nella stessa attività comunale, attraversi i centri dei capoluoghi in quella dei vari uffici provinciai. La regione non sfugge alla tendenza di politicizzazione mentre per la sua importanza dovrebbe essere modello di indipendenza e di responsabilità amministrativa.
Sturzo non amava che i partiti si finanziassero in modo occulto e presentò anche un disegno di legge per il deposito dello statuto in tribunale e per la pubblicazione dei bilanci.
La sindacatocrazia
Sturzo lamentava che Parlamento e Governo, i soli organi statali responsabili difronte alla nazione, avessero permesso l'ingerenza irresponsabile dei sindacati nelle delicate funzioni del potere legislativo. Sottolineava che i sindacati hanno sempre ostruito che lo sciopeero fosse regolato dalle legge come prescrive l'art. 40 della costituzione, per ricattare qualsiasi governo.
L'imprenditoria liberalstatalista
Osservava che il 90% della grandi industrie italiane sono diventate parassite dello Stato, vivono alle spalle del contribuente, questuano leggi di protezione, interventi, provvedimenti comprensvi, contributi a fondo perduto, invocano dallo Stato il salvataggio di aziende cancrenose.
Il comunismo e il fascismo
Entrambi per Sturzo sono ferocemente statalisti, fautori di un centralismo monopolistico nemico di ogni autonomia. Entrambi hanno abituato gli italiani a guardare istintivamente allo Stato come la principale fonte di benessere individuale, il sovventore di tutte le iniziative, il provveditore di tutte le miserie , il collocatore di tutti gli spostati.
I difetti degli italiani
Gli italiani hanno paura della libertà e per non volersi assumere responsabilità nè correre rischi, finiscono con il rassegnarsi a subire un parassitismo costoso e immorale dei vari enti e soprattutto il politicantismo affarista. L'italiano in genere è conformista o anarchico, è accentratore o dissolvitore, è autoritario o rivoluzionario.
La burocratizzazione
Occorre secondo Sturzo una profonda riforma della burocrazia che va riportata alla sua vera funzione amministrativa e di controllo pubblico. Soprattutto l'alleanza fra burocrazie e partiti e sindacati crea un potere superiore a quello costituzionale e sottopone i cittadini ad un dominio insopportabile e non eliminabile.La riforma secondo Sturzo necessita di necessarie garanzie per la carriera, chiusura delle porte alle immissioni arbitrarie di gente non formata o deformata, gli uffici devono essere immunizzati dagli influssi dei partiti, sì che nessun impiegato tema di perdere le promozioni e stabilità per ragioni politiche.
L'entite
Le critiche di Sturzo contro lo statalismo si rivolgevano anche contro la creazione di enti statali e parastatali che, oltre ad essere una gravosa eredità del fascismo, erano stati creati in abbondanza nel dopoguerra e con generosa incoscienza negli anni cinquanta. Sturzo lamentava la loro mancanza di rischi e di responsabilità ed il pericolo che avrebbe minato gli interessi reali del paese proliferando per la connivenza tra burocrati e politici, ma anche per l'invocazione dei cittadini difronte ad ogni più piccolo problema.
Il sistema bancario
Uno dei mali più grandi d'Italia era per Sturzo un costo del denaro intollerabile. Si riferiva all'usura delle banche, le quali sono nella maggioranza banche di Stato, istituti di diritto pubblico, casse di risparmio con nomine governative di presidenti, consigli di amministrazione, sindaci, direttori generali. Egli osservava che le banche italiane hanno costi bancari enormi: da un lato il personale ha stipendi superiori a quelli di altre categorie impiegatizie , dall'altro gli impieghi sono limitati. L'Italia aveva agli inizi degli anni cinquanta il doppio degli sportelli bancari della Francia e quasi metà di quelli degli Stati uniti che avevano una superficie 25 volte superiore a quella italiana.
Vedeva la concorrenza fra le banche una concorrenza a vuoto in quanto essendo la maggior parte di esse statizzate, parastatalizzate o in via di statalizzazione,lo Stato,moltiplicando gli sportelli finiva col far concorrenza a se stesso, con l'aumentare le inefficienze,gli sprechi , contribuendo direttamente a far aumentare il prezzo del denaro.
Limiti della classe politica
Dei politici Sturzo non amava i politicastri e i demagoghi, quelli che andavano quotidianamente a caccia di cariche, onori e compensi, non amava nemmeno i maneggioni o quelli abili per tutte le situazioni e quelli che si presentavano come indispensabili. Guardava con preoccupazione l'affermarsi fra deputati e senatori la mentalità impiegatizia e della casta, quasi che quella politica fosse una professione e auspicava l'avvicendamento.Vedeva come aberrante stabilire un fondo per la cassa pensioni a favore dei deputati che avrebbero raggiunto un certo limite di età e anzianità parlamentare, come si trattasse di una carriera impiegatizia e uno stato di quiescenza a carico del pubblico erario. La proposta aveva per lui un effetto deplorevole nell'opinione pubblica, dando l'impressione di voler creare o consolidare una casta, la parlamentare.
Il centralismo monopolistico
La concezione aberrante del fascismo " nulla fuori, nulla sopra lo Stato, tutto per lo Stato e nello Stato" aveva lasciato come eredità all'Italia un subdolo e strisciante statalismo economico e sul piano amministrativo un centralismo monopolistico e soffocante.
A questo centralismo Sturze contrappone una scelta netta a favore del decentramento. Per questo auspica la rinascita delle autonomie locali.
Avrebbe voluto per gli enti locali un'autonomia reale, anche finanziaria, perchè questa avrebbe educato gli amministratori alla responsabilità, li avrebbe abituati a considerare il denaro pubblico come sacro e quindi a spenderlo con maggiore occulatezza,.
La corruzione
La politica per Sturzo va concepita come servizio alla collettività, come cooperazione al bene, come dovere di solidarietà e come atto di giustizia. La politica è cosa di tutti, richiede una formazione e va esercitata con competenza e specchiata onestà. Tra politica e morale vi sono stretti legami e tra le due, la morale ha il primato.
Di fronte agli scandali Sturzo non si mostra sorpreso, l'importante è il modo e l'efficacia di come si reagisce agli scandali.
L'immoralità pubblica non consiste solo nella malversazione e nei peculati, ma anche nell'applicare sistemi fiscali ingiusti o vessatori, nel dare impieghi pubblici o di Stato o di altri enti pubblici a persone incompetenti, aumentare posti d'impiego senza necessità, abusare della propria influenza o del proprio posto di consigliere, deputato, ministro, dirigente sindacale, nell'amministrazione della giustizia o penale, nell'esame dei concorsi pubblici, nelle assegnazioni di appalti o nell'alterazione delle decisioni.
Nel 1958, un anno prima di morire, diceva a De Rosa: "Oggi questo nostro Stato è come una torta che i partiti si sono divisi e ognuno di essi crede di godere di ogni immunità nella sua parte.
Non c'è più lo Stato sopra ai partiti, ma lo Stato dei partiti e di partiti famelici"